Capitolo 8 - L'ARTE DI VELEGGIARE

VOLO IN TERMICA 2

FORMAZIONE DELLO STRATO LIMITE TERMICO E POTENZIALI DI ALBEDO

POTENZIALI ALBEDO
Natura del suolo Min. Max.
Terra nera 8 15
Sabbia umida 10 10
Terra nuda 10 20
Rocce e sassi 15 25
Sabbia secca 18 20
Prati erba 14 37
Foresta 6 20
Campi arati 20 25
Campi di grano 3 15
Deserto 24 86
Neve Fresca 80 90
Ghiacciai 50 70
Se lo strato limite termico è generato da differenze di temperatura del suolo, diviene importante sapere quali terreni "trattengono" più calore e quali meno.

Escludendo laghi e mari (che danno origine a discendenze durante la giornata), tra tutti i terreni possibili, il peggiore è senz'altro quello coperto di neve fresca: questa, riflettendo fino al 90% dei raggi ricevuti, non ne lascia molti per scaldare il suolo. Per contro un ampio piazzale ricoperto di asfalto ne trattiene, riscaldandosi, oltre l'80%.

Per favorire questo tipo di analisi è stata messa a punto una tabella che indica i valori di Albedo di diversi terreni (Tab. 8-1 ). Si chiama infatti Albedo di un corpo il rapporto tra l'energia che esso riflette e quella che esso riceve.

Attenzione però, la tabella non dice quale uso viene fatto dei raggi assorbiti. A noi interessa che essi vengano utilizzati per scaldare il terreno stesso (come nel caso del piazzale asfaltato). La vegetazione, ad esempio, usa una parte anche notevole dei raggi solari "trattenuti", per svolgere le sue funzioni vitali (la principale essendo quella di non scaldarsi troppo!). Ecco quindi che le foreste hanno un Albedo buono (loro riflettono "solo" il 20% dei raggi), ma non producono riscaldamento al suolo nè, tantomeno, ascendenze termiche.

Anche l'umidità del terreno ne peggiora le capacità di scaldarsi: da un lato, infatti, l'acqua conduce il calore in profondità (scaldando zone che non ci interessano), mentre dall'altro l'intensa evaporazione sottrae molto calore al terreno stesso.

Un buon terreno, dunque, deve possedere un basso valore di Albedo, essere secco e poco conduttore: ai primi posti troviamo quindi la roccia e l'asfalto, agli ultimi la foresta e la neve.

ALTRI ASPETTI RILEVANTI

OCCHIO ALLE DIFFERENZE

Ciò che dobbiamo cercare, volendo trovare una termica, è però una differenza di temperatura al suolo: maggiore è il contrasto tra terreni vicini e maggiori sono le possibilità che li si sia formato o si formi uno strato limite termico. I campi arati sono un esempio stupendo (che nella pratica non delude quasi mai): essi non soltanto possiedono un Albedo decente, non soltanto è stata eliminata una grande fonte di consumo (il cereale che vi cresceva), ma sono quasi sempre circondati da terreni meno idonei a trattenere il calore (altri campi non arati, prati, boschi, ecc.); i campi arati compaiono spesso nei racconti di voli memorabili, solitamente in veste di salvatori (stavo quasi per atterrare, ero bassissimo, poi, su un campo arato, ho ricominciato a salire, e...).

OCCHIO AL VENTO ED AI TRIGGER-POINT

Sappiamo bene che uno strato limite termico, caldo caldo, vale poco se non ci sono un po' di vento ed un ostacolo che agisca da innesco.

Ecco quindi che, cercando le termiche, è molto importante conoscere la direzione del vento al suolo: qualsiasi ostacolo che costringa uno strato limite termico ad innalzarsi, anche di poco, può essere un ottimo trigger-point, ma la termica si staccherà sottovento a questo e non sulla sua verticale. In pianura sono ottimi candidati tutti i dislivelli, per quando modesti (collinette, boschetti isolati) e i filari di alberi.

In alcuni casi il trigger-point può addirittura essere mobile: un trattore che attraversa un campo o la nostra stessa ala in avvicinamento (quest'ultimo caso è frequente in atterraggio, nelle giornate assolate, e spiega come mai "la bolla si stacca sempre quando atterro io").

IL PENDIO E LE TERMICHE

Abbiamo accennato al fatto che i pendii montani "raccolgono" le termiche rendendone più facile l'individuazione. Il pendio, però, quando ben esposto e dotato della giusta inclinazione, può fare molto di più: può esso stesso rinforzare la termica, alimentandola in continuazione con un effetto che "sfuma" verso la brezza. Anche per questo si dice che il pendio ideale è esposto ai raggi del sole, è il più lungo possibile e, idealmente, è inclinato di almeno 25 gradi: in questo modo la termica, salendo, rimane aderente al pendio stesso e, a differenza delle termiche che si formano in pianura, l'aria continua a riscaldarsi anche mentre sale, poichè riceve calore durante lo scorrimento sul pendio.

Il risultato netto è che la temperatura, all'interno della termica che scorre sul pendio, cala in modo minore rispetto alla Adiabatica Secca, potendo arrivare anche a 0,7-0,6 gradi ogni cento metri: in pratica i valori tipici della adiabatica satura, ma senza nube! Ciò significa, inoltre, che tanto più è lungo il pendio, tanto maggiore risulta l'accumulo di calore. La principale conseguenza è che può divenire possibile superare uno strato di inversione che blocca le termiche in pianura.

Va inoltre tenuto presente che, a parità di irraggiamento, la temperatura di riscaldamento del terreno è più o meno la stessa, a prescindere dalla quota: quindi tanto più è alto il terreno tanto maggiore sarà la differenza di temperatura tra l'aria che vi scorre contro e quella circostante e soprastante la cima.

SFRUTTAMENTO DELLA TERMICA


Figura 8-6. Con il deltaplano può accadere di non poter "forzare" un'ingresso in termica: si deve allora compiere una virata di 270°, sapendo che la perdita di quota sarà notevole.

Una volta individuata la nostra termica, si pone il problema di sfruttarla al meglio, iniziando proprio dall'ingresso che, generalmente, viene avvertito dal pilota dapprima come una caduta in avanti ed in basso (mentre si attraversa la zona di discendenza) e successivamente come una brusca cabrata della vela (quando il bordo d'attacco entra nella parte ascendente).

Naturalmente non sempre capita di incontrare una termica "frontalmente" anzi, più spesso, essa viene intersecata da una sola semiala che si solleva bruscamente, con l'effetto di "sputarci fuori", nel bel mezzo della discendenza. In questo caso esistono due strategie: la prima, più diretta ed efficiente, prevede che ci si opponga con forza alla virata "spontanea" , controvirando noi stessi fino a completare l'"ingresso". Se, come accade a volte con il deltaplano, tale manovra risulta impossibile, si accentua allora la virata "spontanea" proseguendola per 270 gradi e ripresentandosi frontalmente. Questa seconda manovra deve essere assolutamente evitata in prossimità del pendio, dal momento che l'intiera virata viene compiuta in discendenza, con una perdita di quota anche notevole.

Appena entrati in termica è molto utile prendere un riferimento al suolo ed uno di quota, in modo da conoscere bene la nostra posizione relativamente alla montagna (nel caso dovessimo perdere la termica sarà possibile cercarla nuovamente a quella altezza ed in quella posizione). È inoltre necessario valutare attentamente la posizione degli altri piloti eventualmente in volo. Poi dedicheremo tutta la nostra attenzione al "centraggio" della termica stessa: tenteremo cioè di compiere cerchi centrati sul "nocciolo", restando sempre dove i valori di ascendenza sono più elevati.

Attraversando la termica noteremo, infatti, che il variometro segnala dapprima valori positivi crescenti (ci si avvicina al nocciolo), poi valori massimi (stiamo attraversando il nocciolo) e poi valori decrescenti (stiamo andando verso la periferia della termica). Finchè i valori sono in incremento, proseguiamo dritti, non appena questi iniziano a calare è giunto il momento di impostare la virata. Successivamente, se i valori di ascendenza aumentano, la virata deve essere allargata, se calano la virata deve essere stretta. La velocità di volo dovrà essere vicina a quella di minima caduta (tenendo conto dell'inclinazione dell'ala): questo significa che si potrà volare molto lenti nelle termiche ampie, con un basso angolo di inclinazione, mentre si dovrà tenere una maggior riserva di velocità volando nelle termiche strette, dove è necessario inclinare molto l'ala.

LA TERMICA AL CONTRARIO: CASCATE D'ARIA

In montagna, sui ghiacciai, accade l'esatto contrario di ciò che si verifica in un piazzale asfaltato di fondovalle. Là in basso si forma uno strato limite termico di aria calda che aspetta un innesco per salire, attraversando gli strati di aria più fredda che la sovrastano; sopra al ghiacciaio, invece, si forma uno "strato limite termico" di aria fredda che aspetta un innesco per precipitare a valle. Specie d'estate, quando la restante aria è mite, sui ghiacciai hanno luogo violente "cascate d'aria"; queste sono assolutamente invisibili, se non trascinano con sè frammenti di ghiaccio e neve (in questo caso possono ricordare piccole valanghe "polverose"). Proprio come avviene per la formazione delle termiche (ma all'inverso), non è necessario che l'aria sul ghiacciaio sia molto fredda: è sufficiente che sia più fredda di quella presente in valle.

I ghiacciai che sovrastano zone innevate non producono cascate d'aria, un ghiacciaio che sovrasta una valle rocciosa invece si. La conclusione da trarre è una sola: non volare troppo vicino ai ghiacciai (la cascata raramente supera i 50 metri di spessore), soprattutto in primavera-estate, evitando anche i canaloni posti subito al di sotto del ghiacciaio stesso (che potrebbero raccogliere la "cascata d'aria").


Figura 8-7. Per poter sfruttare le ascendenze termiche è necessario saper compiere virate coordinate e continue a 360° mantenendosi costantemente all'interno della zona di ascendenza. La capacità di effettuare i 360° volando alla velocità di minima caduta può far la differenza tra salire o scendere, nelle giornate "deboli".