Capitolo 8 - L'ARTE DI VELEGGIARE

GLI ATTERRAGGI DI EMERGENZA

Diciamo subito che il termine, un po' drammatico, di atterraggio d'emergenza, non indica necessariamente un atterraggio piccolissimo ed impegnativo, bensì l'atterraggio in un luogo non previsto (quindi sfornito di manica a vento) e sconosciuto. La necessità di utilizzare un atterraggio di emergenza deriva sempre dal deliberato abbandono della zona di volo conosciuta e quindi dovrebbe presentarsi soltanto ad un pilota sufficientemente esperto anche e soprattutto nelle manovre di avvicinamento ed atterraggio.

INDIVIDUAZIONE


Figura 8-14. Metodi per individuare la direzione e la intensità del vento in vista di un atterraggio d'emergenza.

Se il volo di distanza è stato compiuto tendendo conto dei "coni di efficienza" (vedi Circolazione) avremo sempre la possibilità di raggiungere un terreno che, almeno dalla quota alla quale ci troviamo, risulta idoneo all'atterraggio.

Quando riteniamo di dover atterrare (anche nostro malgrado) è meglio non ridursi all'ultimo momento, si potrà così effettuare l'avvicinamento con un buon margine d'altezza, sempre molto prezioso per analizzare con calma il terreno nuovo.

ANALISI

Una volta individuato il terreno adatto si pongono una serie di quesiti che devono trovare una risposta nel breve tempo disponibile.

1) Esistono elementi poco visibili dalla nostra precedente altezza che potrebbero costituire ostacoli imprevisti?
In particolare andrà verificata la presenza di eventuali cavi (elettricità, telefoni, o altre): dal momento che i cavi non sono facilmente visibili dall'alto si cercherà piuttosto di individuare i piloni di sostegno, ad esempio ricercandone l'ombra (se c'è il sole); una sgradita sorpresa può venire da fili stesi tra staccionate anche distanti tra loro.

2) Il terreno è pianeggiante?
Dall'alto tutti i terreni sembrano piatti ma, specie in zone premontane, raramente lo sono. Mentre un parapendista potrà ignorare le lievi pendenze o (se la pendenza non è lieve) dovrà semplicemente individuare la linea di "piano" (sempre comunque presente in ogni pendio), per il deltaplanista le cose possono complicarsi: una lieve pendenza, infatti, sarà utile o dannosa a seconda della direzione del vento e quindi della direzione del finale. Compiuto controvento un atterraggio in lieve salita risulta più facile e richiede un percorso più breve, mentre un atterraggio in lieve discesa può, grazie all'effetto suolo, non divenire affatto un atterraggio ma solo un lungo volo rasoterra.

3) Qual'è la direzione del vento a terra?
Per determinare questo fatto (la cui importanza è direttamente proporzionale alla intensità del vento stesso) vengono suggeriti numerosi sistemi.
  • Osservazione dei fumi al terreno.
  • Osservazione delle foglie degli alberi (le parte inferiore delle foglie è generalmente più chiara di quella superiore e quindi la parte investita dal vento ci apparirà più chiara dall'alto).
  • Osservazione delle increspature sui piccoli laghi (il vento generalmente è identificabile dal vertice di curvatura delle ondine).
  • Osservazione dei campi di grano o di altre piante che subiscono l'effetto del vento (vedremo vere e proprie onde propagarsi nella direzione del vento).
  • Esecuzione di ampi e regolari 360° centrati su di un punto di riferimento (il vento, se presente, tenderà a spostarci ed a spostare il centro ideale dei nostri cerchi, nella sua stessa direzione).
  • Se si vola in compagnia, il primo che atterra segnala agli altri la direzione reale allestendo rapidamente una manica di fortuna.

VENTO E DIMENSIONIDELL'ATTERRAGGIO


Figura 8-15. Influenza della direzione del vento sulle dimensioni realmente sfruttabili di un campi di atterraggio.

Lo spazio realmente disponibile per l'atterraggio può variare anche di molto a seconda della direzione del vento e della presenza di eventuali ostacoli che possono creare turbolenze. La figura 8-15 riporta alcuni esempi.

Nel primo caso il campo risulta "accorciato" dalla turbolenza creata dagli alberi; nel secondo la zona subito sottostante gli alberi stessi non può essere raggiunta da un apparecchio più alto delle cime degli alberi stessi (sottoefficenza); nel terzo caso la direzione del vento determina una linea di atterraggio trasversale rispetto alla dimensione massima del capo, dando luogo ad un altro tipo di riduzione.

METODO DEL PUNTO STAZIONARIO

A volte accade di poter scegliere tra un terreno migliore, ma più lontano, ed uno peggiore ma sicuramente raggiungibile. In altri casi ci si chiede se la nostra traiettoria è compatibile con il superamento di un certo ostacolo (una cresta montana, una fila di alberi, ecc.) Per capire, durante l'avvicinamento, quante possibilità abbiamo di raggiungere un certo terreno o di superare un certo ostacolo può essere utile il metodo detto "del punto stazionario".

Per un fenomeno geometrico, connesso con la sfericità della terra, l'orizzonte ci appare, durante il volo, ad un angolo visivo costante (lo sguardo è praticamente parallelo alla superficie terrestre); grazie a ciò, valutando il cambiamento di distanza apparente tra l'orizzonte e l'inizio del terreno scelto per l'atterraggio (o l'ostacolo da superare), dopo qualche secondo di volo (eseguito mantenendo una velocità costante, idealmente quella di massima efficenza), possiamo avere preziose indicazioni (Fig. 8-16).
  • Se la distanza apparente tra orizzonte ed inizio del terreno aumenta significa che, mantenendosi inalterate le condizioni di volo attuali, riusciremo tranquillamente a raggiungerlo (o a superarlo se si tratta di un ostacolo).
  • Se, al contrario, la distanza apparente tende a diminuire, questo significa che la nostra traiettoria di volo interseca il terreno in un punto a noi più vicino rispetto a quello prescelto e che non non raggiungeremo quest'ultimo (o non supereremo l'ostacolo).
  • Se, infine, la distanza apparente rimane costante (stazionaria appunto) significa che l'inizio del terreno giace esattamente sulla nostra traiettoria, rappresentando, almeno per il momento il nostro punto di impatto con il terreno (fatto salvo, ovviamente, l'eventuale effetto suolo).
La spiegazione trigonometrica del fenomeno (che riportiamo per i più curiosi) è esposta in figura 8-17 dove si vede un'ala che sta scendendo lungo la traiettoria (b) che la porterà a contatto con il terreno in centro campo.
In un primo tempo si possono individuare tre angoli visivi, in partenza dal pilota e rispetto all'orizzonte:
l'angolo (a) tra l'orizzonte e la pianta a fondo campo;
l'angolo (b) tra l'orizzonte ed il punto di impatto con il terreno;
l'angolo (c) tra l'orizzonte ed i cavi elettrici.
Dopo qualche istante di volo lungo la traiettoria b si potra rilevare che:
l'angolo (a) è diminuito, e così pure la distanza apparente tra l'albero e l'orizzonte (non si arriva all'albero);
l'angolo (b) è invariato (il punto b infatti giace sulla traiettoria ed è il punto stazionario per definizione), ugualmente invariata è la distanza apparente tra il punto b e l'orizzonte;
l'angolo (c) è notevolmente aumentato, e così pure la distanza apparente tra cavi ed orizzonte (si superano i cavi).
Bisogna però tenere ben presente che, data la bassa velocità ed il basso carico delle nostre ali, le traiettorie in generale (e quindi anche quelle di avvicinamento) non sono mai rettilinee ma subiscono piuttosto numerose influenze dovute ai movimenti convettivi dell'aria (ad esempio sorvolando terreni con caratteristiche differenti di irradiazione) (Fig. 8-18).

Il metodo del punto stazionario richiederà dunque diverse osservazioni delle quali si farà poi una media approssimata.

Morale: se non siamo più che sicuri di raggiungere un dato atterraggio iniziamo immediatamente a considerare eventuali valide alternative.
   
    Figura 8-17 Trigonometria del punto stazionario (spiegazioni nel testo).
   
Figura 8-16. Metodo del punto stazionario: la distanza da considerare è quella apparente tra orizzonte ed ostacolo da superare od inizio del campo di atterraggio.

    Figura 8-18. Sorvolando terreni con caratteristiche termiche differenti la traiettoria di discesa può venire notevolmente influenzata.

UN ULTIMO CONSIGLIO

Un ultimo consiglio a chi desidera progredire nell'arte del veleggiamento: confrontate le vostre esperienze con quelli degli altri piloti; individuate i "migliori" (non i più spericolati, ma quelli che restano appesi a "bave di vento", che nelle giornate "buone" macinano chilometri ed in quelle "dubbie" lasciano a casa la vela) ed osservateli attentamente cercando di "rubare" quei segreti che, una volta trascritti, perdono molto del loro significato.

Vorremmo chiudere esortando nuovamente alla prudenza con un "proverbio" che ha raggiunto una certa popolarità per la profonda saggezza che esprime:

"Molto meglio essere a casa con il desiderio di volare che trovarsi in volo con il desiderio essere a casa"
(Anonimo, seconda metà del '900).