Capitolo 5 - IL VOLO COL DELTAPLANO

AL CAMPO SCUOLA

IN PIANO E DA FERMO


Figura 5-13. I due tempi del sollevamento del deltaplano: A=porlo orizzontale; B=sollevarlo dal suolo.

Sollevamento: il trapezio viene spinto in avanti, facendo perno sulla barra che è sempre appoggiata al terreno (Fig. 5-13). Soltanto quando è stato raggiunto un equilibrio longitudinale vengono impugnati i montanti, con i dorsi delle mani rivolti all'esterno, e con le mani ad uguale distanza dalla barra. Si solleva poi l'aquilone in quella che diventerà la posizione standard di decollo. I piedi sono uniti (eventualmente un piede sarà lievemente avanzato rispetto all'altro per percepire la pendenza del terreno).

Ricerca di un assetto orizzontale: restare in equilibrio con il deltaplano sollevato è, all'inizio, un esercizio difficoltoso; è relativamente facile capire quando lo si stà eseguendo correttamente, dal momento che non dovrebbe richiedere uno sforzo fisico notevole, bensì sfruttare il peso stesso ed il buon bilanciamento dell'apparecchio.


Figura 5-14. Senza il giusto angolo di incidenza la corsa sarà impossibile.

Verifica dell'influenza delle braccia (e dell'inclinazione del busto) sull'incidenza: già in questo momento è utile comprendere gli effetti dell'incidenza sui momenti successivi (Fig. 5-14: incidenza troppo elevata=freno alla corsa; incidenza troppo scarsa=sopravanzamento con rovinosa caduta a pochi metri).

Osservazione del segnavento obbligatorio sul cavo anteriore: il neopilota deve iniziare ad esprimere giudizi personali sulle condizioni del vento in relazione ad un possibile decollo.

PRIME CORSE IN PIANO

Corsa progressiva con rilevamento della trazione esercitata dall'aquilone che inizia a volare: in questo esercizio dovrebbe essere perfezionato il controllo dell'incidenza dell'apparecchio durante la corsa. È raro riuscire a tenere l'incidenza giusta fin dalle prime volte: la più frequente causa di un'incidenza troppo bassa è l'esagerata inclinazione in avanti di busto e capo; al contrario, se all'inizio della corsa portiamo in avanti le braccia, l'incidenza è troppo elevata e non si riuscirà a mettere in volo l'aquilone (anzi esso agirà da freno aerodinamico restando indietro rispetto al nostro corpo).

Fin da queste prime fasi è necessario capire che siamo noi, attraverso il controllo dell'angolo di incidenza, a determinare la velocità di corsa dell'insieme pilota+delta. La trazione verticale dell'apparecchio può essere meglio apprezzata mantenendo l'imbrago in tensione (sostenendo, cioè, l'aquilone in corsa).
Cambio dell'impugnatura (sempre ai montanti): è raro che questo esercizio venga compiuto senza commettere, almeno alle prime volte, l'errore di rallentare durante il cambio; l'aquilone tende allora a sopravanzarci e a cadere. È invece necessario continuare l'accelerazione anche (e soprattutto) durante il cambio di impugnatura (Fig. 5-15). Per quanto possa sembrare innaturale (verrebbe infatti voglia di "frenare"), accelerare la corsa è l'unico modo per evitare una caduta precoce: spingendo in avanti i montanti aumenteremo l'angolo di incidenza, e l'ala si fermerà (in effetti dobbiamo, prima di tutto, fermare l'aquilone!).

Stallo di arresto: la corsa si conclude con uno stallo di arresto, deciso ed anticipato. La "smania" di volare subito potrebbe essere una cattiva consigliera, inducendoci a sollevare le gambe proprio nel momento in cui l'apparecchio smette di volare (anche se sosteneva solo sè stesso, infatti, stava già volando) con conseguenze comiche e, a volte, rovinose.

Figura 5-15. L'errato (ed involontario) rallentamento al momento del cambio delle mani, determina una accellerazione del deltaplano che ci sopravanza: è necessario evitare il rallentamento e mantenere la progressiva della corsa.

PRIMI DISLIVELLI (5-15 MT)


Figura 5-16. La velocità del veicolo di decollo deve consentire uno stacco lineare: decollando troppo lentamente il delta effettua una caduta compensatoria per guadagnare velocità, oppure stalla tornando verso il pendio.

Corsa progressiva fino a raggiungere la velocità minima di decollo: la fatica è cattiva consigliera, ci dice che stiamo correndo forte quando invece non è vero. Se riusciamo a raggiungere e superare la velocità di volo l'aquilone si stacca dal pendio in modo dolce e lineare; se invece siamo troppo lenti, dopo un primo attimo l'apparecchio tende a picchiare, per compensare la lentezza, con pericolosissime "sfiorate" al terreno. In alternativa può stallare immediatamente ritornando verso il pendio (Fig. 5-16).

Mantenimento di una traiettoria rettilinea: una posizione composta favorisce la concentrazione del corpo-peso e la sua governabilità: dunque sguardo in avanti (e non puntato sulla verticale sotto di noi), piedi vicini e gambe in lieve flessione; una lieve trazione sui montanti serve ad evitare velocità prossime a quella di stallo. Un errore frequente consiste nell'appendersi ai montanti con le mani; questo è dannoso per diversi motivi:
  • toglie potere all'unico sistema di guida: il nostro peso fissato nel punto di aggancio;
  • impedisce od ostacola manovre di accelerazione o decelerazione;
  • aggrava inevitabilmente una eventuale perdita di assetto;
  • mette in oscillazione la parte inferiore del corpo compromettendo ulteriormente la stabilità.
Una soluzione relativamente semplice consiste nel tenere i montanti a "mani più aperte", cioè cingendoli senza stringerli; la tendenza ad appendersi si trasformerà in uno scivolamento delle mani sui montanti stessi senza alcuna compromissione delle possibilità di controllo.

Prime correzioni di rotta: spostare "il peso del corpo" (e non solo una parte di esso) nella direzione indicata dall'istruttore o nella direzione opposta a quella indotta da una turbolenza. Dopo qualche attimo, e solo se necessario, compensare (spostare il peso nella direzione opposta) ricercando l'orizzontalità. È molto utile provare i primi spostamenti di peso agganciati ad una struttura fissa con una sbarra davanti. Si imparerà in tal modo a distinguere tra "spostamento" (testa, busto e gambe, in asse e decentrati) e "torsione-rotazione" (testa e busto da una parte, sedere e gambe dall'altra); come già esposto la seconda manovra non ha alcun effetto poichè non modifica la posizione del baricentro.

Un errore particolarmente pericoloso consiste nell'allontanare i montanti durante un tentativo di correzione: è un movimento naturale che insorge quando l'aquilone sembra andare dove non vorremmo e questo fatto ci spaventa; purtroppo l'allontanamento dei montanti (che determina un ulteriore rallentamento, se non addirittura uno stallo) può rendere irrecuperabile una situazione già difficile, vediamo di capirne bene il perchè.

Come ogni mezzo volante (vedi capitolo di aerodinamica) l'aquilone risponde prontamente alle correzioni solo se ha una velocità sufficiente; quando voliamo troppo lentamente (con angoli di incidenza troppo elevati) è facile raggiungere una condizione definibile come "pre-stallo"; l'apparecchio diventa, per così dire, pigro e stupido (nel senso che non ci aiuta a correggere eventuali perdite di assetto ma, anzi, sembra volerle aggravare); ne consegue che una perdita di orizzontalità che, in queste condizioni, può essere recuperata solo facendo, come prima cosa, riprendere una velocità adeguata all'aquilone (tirando a sè i montanti); successivamente (o, se il terreno è molto vicino, quasi contemporaneamente) si correggerà la rotta contrastando con il proprio peso. L'errore di allontanare i montanti, per quanto istintivo, sortisce l'effetto di rallentare ulteriormente l'apparecchio: la perdita di orizzontalità non sarà recuperabile e l'apparecchio continuerà la virata non voluta con maggior energia di prima.

Atterraggio: una volta smaltita la velocità in effetto suolo, "aprire" con decisione, spingendo con forza sui montanti (che avremo avuto l'accortezza di impugnare "alti", cioè almeno all'altezza delle orecchie). È proprio in atterraggio che i neopiloti si sbizzarriscono proponendo e riproponendo alcuni (ormai prevedibili) errori:
  • mancanza di orizzontalità: durante il volo minime variazioni di assetto sono quasi irrilevanti, in atterraggio, invece, la mancanza di orizzontalità viene accentuata dallo stallo finale che trasforma una lieve inclinazione in una netta virata. È dunque importante giungere al momento dello stallo con un assetto laterale preciso;
  • errata posizione del corpo: bisogna inoltre evitare di spostare in avanti gambe e piedi, dal momento che lo stallo deciso si ottiene spostando rapidamente all'indietro tutto il peso del corpo. L'esperienza insegna che l'atto di portare in avanti i piedi sposta automaticamente indietro il busto ed il sedere, facendo, di fatto, retrocedere il baricentro del neopilota. Il malcapitato non avrà più nulla da "spostare rapidamente all'indietro" e non riuscirà ad imprimere uno stallo deciso; inoltre atterrare con in piedi in avanti, può essere pericoloso per caviglie e bacino. Nel momento dello stallo, invece, il busto dovrà essere eretto, le gambe lievemente arretrate e pronte ad assorbire l'impatto (saranno quindi in leggera flessione).
Bisogna, da ultimo, ricordare che lo stallo è una manovra che consuma un minimo di energia: essa diviene inattuabile se l'aquilone non ne possiede più. Semplificando possiamo dire che l'energia dell'aquilone, in atterraggio, è direttamente proporzionale alla sua velocità (tanta velocità=tanta energia): se aspettiamo troppo prima di stallare (stallo ritardato) l'apparecchio non disporrà più dell'energia sufficiente e non ci sarà possibile fermare completamente il delta; in questo caso si dovrà correre o sfruttare le indispensabili ruote per mitigare l'impatto in movimento, altrimenti la barra tocca il terreno arrestando molto bruscamente aquilone e pilota.
D'altro canto se stalliamo troppo presto, prima di aver smaltito l'energia in eccesso (aquilone ancora troppo veloce), la inopportuna restituzione di energia tenderà a farci risalire: in questo caso è necessario tenere aperto con le braccia ben distese. Il delta ci paracaduterà dolcemente al suolo; se, al contrario ci venisse la tentazione di richiamare (tirare a noi i montanti), cadremmo con inusitata violenza (Fig. 2-17).


Figura 5-16. Stallando troppo presto il delta si rialza, ritardando esso non si ferma, ma spancia fino al suolo.