Capitolo 5 - IL VOLO COL DELTAPLANO

IL VOLO

AVVICINAMENTO ED ATTERRAGGIO

Una volta presa la decisione di atterrare, si lascia la zona di volo per portarsi sull'atterraggio: naturalmente sapremo già quale circuito è in uso o, se siamo gli unici in volo, quale circuito abbiamo deciso di adottare in base alle condizioni del vento e dell'atterraggio (vedi Cap. 2).

Per quanto già detto a proposito di velocità e manovrabilità, il circuito di avvicinamento verrà portato a termine volando sempre ad una velocità ben superiore a quella di stallo, e prossima a quella di massima efficienza.

Anche se la manovra di atterraggio vero e proprio non è diversa da quella appresa sul campo scuola, al termine di un volo alto esistono alcuni fattori nuovi che, se ignorati, possono generare errori che è possibile (e doveroso) evitare.

RALLENTAMENTO AL CAMBIO DELLE MANI


Figura 5-26. L'abbandono della barra al cambio delle mani genera una improvvisa cabrata: i montanti debbono essere afferrati uno alla volta.

In campetto si vola sempre molto lentamente (solitamente non vi è quota sufficiente per effettuare consistenti prese di velocità); per contro, specie nei primi voli, la tendenza è quella di volare molto veloci (tanto che si parla di "sindrome della picchiata"); di questo si deve tener conto al momento del cambio delle mani: l'abbandono completo della barra, a velocità sostenuta, determina infatti una rapida cabrata dell'apparecchio che tende a tornare alla velocità di trim (Fig. 5-26); le mani vanno dunque portate sui montanti una alla volta, mentre l'altra mantiene la giusta incidenza di volo evitando il rallentamento non desiderato (nè desiderabile).

GRADIENTE DEL VENTO

Come sappiamo, vicino al suolo il vento viene rallentato, nella sua corsa, dall'attrito con il terreno, generando, per un'altezza di alcuni metri (anche 20 o 30) un sensibile gradiente del vento. Il pilota che ignora questo fatto e che scorda di "sentire la velocità con le orecchie" anzichè "con gli occhi", avrà la impressione di accelerare notevolmente e potrà quindi rallentare troppo causando un rovinoso stallo vicino a terra (Fig. 5-27).

Un secondo effetto il gradiente di vento lo esercita sulle due ultime virate nell'avvicinamento a C: l'ala più alta riceverà infatti più vento causando una tendenza a contrastare la virata (Fig. 5-28).

EFFETTO SUOLO

Mentre al campetto si vola sempre in effetto suolo, alla fine di un volo alto questo può sorprendere, essendoci abituati al tasso di caduta che l'aquilone ha tenuto per tutta la discesa. Ricordiamo che dovremo lasciare smaltire parte della velocità prima dello stallo finale.


  

Figura 5-27. Il gradiente di vento dà la sensazione di un'improvvisa accelerazione: evitare un pericoloso rallentamento.

  
Figura 5-28. Il gradiente di vento (se sostenuto) determina una tendenza a contrastare le ultime virate dell'avvicinamento a C.

IMPORTANZA DELL'ASSETTO

Orizzontalità: quando si è vicini al terreno, diviene rischioso perdere l'assetto orizzontale, dal momento che non disponiamo più dell'altezza sufficiente per effettuare rilevanti correzioni. È pertanto estremamente importante presentarsi in finale con una orizzontalità perfetta (abbiamo già visto che lo stallo finale accentua le eventuali asimmetrie).

Ricordiamo, comunque, che le manovre di correzione di assetto, quando compiute in effetto suolo, possono avere successo solo mantenendo la velocità e spostando piuttosto energicamente il peso del corpo.

Mancato allineamento con il vento in atterraggio: l'importanza di allinearsi contro vento dipende, in primo luogo, dalla intensità del vento stesso. È infatti assurdo rischiare di perdere l'assetto di volo, tentando virate "raso-suolo", per giungere perfettamente controvento quando la manica indica una debolissima bava; molto meglio effettuare lo stallo finale con una buona orizzontalità anche se "storto" rispetto al vento stesso. Le osservazioni che seguono si riferiscono, quindi, ad un vento di almeno 8-10 Km/h o superiore.

VENTO DI LATO

L'influenza che il vento laterale esercita sull'apparecchio dipende non solo dalla velocità del vento ma anche da quella del nostro deltaplano. Come è intuibile la sua influenza sulla traiettoria sarà tanto maggiore quanto minore è la nostra velocità, e diverrà notevole se voliamo in prestallo. Sappiamo che, durante lo stallo finale, il gradiente del vento tenderà a sollevare maggiormente l'ala esposta al vento stesso: potremo quindi tentare di correggere il finale stallando con l'ala sopravvento lievemente più bassa.

VENTO DA DIETRO

Abbiamo già detto che tale situazione va evitata perchè molto pericolosa, tuttavia, se il vento dovesse girare quando è troppo tardi per invertire la rotta ricordiamo che è necessario mantenere una buona velocità (il terreno ci sembrerà velocissimo) e stallare in maniera decisa e lievemente in anticipo. In questo modo ci si solleverà un poco ma si arresterà il moto orizzontale rispetto al vento: ovviamente rimane quello dovuto al vento stesso. In extremis si ricordi che un forte crash frontale per vento dietro (se non abbiamo le ruote protettive) può essere più dannoso di uno in rotazione e quindi, se il campo è sufficientemente largo e privo di ostacoli può addirittura essere conveniente perdere l'assetto iniziando una leggera virata controvento (ammesso che esista una quota minima).

TOP LANDING


  
Figura 5-29. Top landing con vento frontale: è possibile solo in alcune zone particolarmente favorevoli.

   Figura 5-30. Top landing con vento alle spalle: è decisamente più impegnativo.

In zone particolarmente favorevoli è possibile atterrare, anche con il deltaplano, in prossimità della zona di decollo o comunque in una zona che consentirà un ulteriore decollo, questo è detto top-landing.
Ne esistono sostanzialmente due tipi.

VENTO FRONTALE

È realizzabile quando la forma della montagna è particolarmente propizia e simile alla parte superiore di un profilo alare (ad es. Monte Cucco, PG). In questo caso la turbolenza è ridotta al minimo e l'atterraggio potrà essere effettuato per tentativi (Fig. 5-29): la prima volta ci terremo un pò alti e molto probabilmente non riusciremo ad atterrare, ma ci ritroveremo in volo verso valle come dopo un normale decollo; nel passaggio successivo staremo un pochino più bassi ed arretrati fino a trovare la giusta traiettoria. In questo tipo di atterraggio è importantissimo (come in tutte le fasi del volo in dinamica) non mettersi mai con il vento in coda ed evitare di presentarsi troppo arretrati, il che potrebbe portarci nella zona di sottovento. Se il vento è sostenuto ci vorrà inoltre qualcuno che faccia assistenza al pilota appena atterrato per impedire che venga disturbato dal vento, una volta a terra.

VENTO ALLE SPALLE

Il vento deve essere debole e regolare, il pendio ampio e privo di gibbosità (Fig. 5-30).

È decisamente più impegnativo del precedente ed è quindi assolutamente sconsigliato a piloti meno che esperti (capita tuttavia abbastanza spesso che anche piloti esperti rompano qualche montante o peggio). L'avvicinamento si farà con degli 8 e ci si porrà perpendicolari al pendio a circa 30-40 mt di distanza. A questo punto sappiamo che la velocità apparente sarà sostenuta (velocità di volo più quella del vento), ma ci guarderemo bene dal rallentare (uno stallo in questo approccio sarebbe letteralmente disastroso!). Anzi sarà opportuna una leggera presa di velocità, necessaria per far raccordare l'aquilone al pendio (e quindi per farlo risalire un poco). Raccorderemo poi l'aquilone con un repentino rallentamento ed uno stallo molto deciso. La linea finale di arrivo sarà perpendicolare alla linea orizzontale del pendio, idealmente in prossimità di una sella.

Questo secondo tipo top landing dovrebbe essere considerato comunque un atterraggio di emergenza (per soccorrere un pilota caduto, in previsione di una rapida degenerazione temporalesca ecc...) visto che risulta estremamente influenzabile da variazioni anche piccole della brezza che soffia sul pendio. Inoltre sarà assolutamente evitato durante i voli con ascendenze dinamiche (quando cioè il vento sia sostenuto).

ATTERRAGGI DA EVITARE

Esauriti gli atterraggi ortodossi consideriamone due che devono essere evitati per i gravi rischi che comportano: le esperienze accumulate dimostrano che l'esito, scarsamente influenzabile dal pilota, è spesso negativo. Sempre sulla base delle esperienze citate, esponiamo alcune considerazioni che dovrebbero anche chiarire perchè questi modi di "tornare a terra" non possono essere considerati con tranquillità ma anzi sufficientemente temuti.

ALBERI

Gli alberi frondosi e ravvicinati l'uno all'altro possono essere preferibili al letto di un fiume cosparso di rocce o alle case corredate di fili elettrici. Dovendo atterrare sugli alberi ne cercheremo un gruppo ampio e fitto, evitando assolutamente gli alberi isolati per quanto grossi: il maggiore pericolo è infatti quello di cadere giù, ed una fitta selva di rami, di più alberi uniti, rende remota questa possibilità; i cavi dell'aquilone infatti tendono ad impigliarsi nei rami arrestando la caduta.

Ricordando che sugli alberi non esiste effetto suolo, ci comporteremo come in un normale atterraggio, stallando decisamente, dopo un minimo di smaltimento di velocità, a pochi centimetri dalle cime.

Successivamente, per riguadagnare il terreno, c'è chi ha proficuamente utilizzato il suo imbrago, legato (con le funi del paracadute d'emergenza) alla barra di controllo che agiva da carrucola. È chiaro comunque che in queste condizioni sono già stati commessi numerosi errori di manovra o di valutazione (altrimenti ci troveremmo al centro di un ampio prato) ed il coefficiente di sicurezza dell'atterraggio sugli alberi è proprio basso.

ACQUA

Gli atterraggi in acqua sono estremamente pericolosi, a meno che sono siano stati previsti e che, oltre ad un pronto recupero con barca a motore, il pilota sia stato fornito di opportuni presidi galleggianti. Tradizionalmente il Delta Club Como effettua, in luglio, un volo con atterraggio nel Lago (ovviamente, di Como): i piloti, che partono debitamente attrezzati, sono prontamente recuperati e tratti all'asciutto da una squadra di imbarcazioni leggere e veloci.

Capita invece che il pilota "finisca in acqua" per errore, avendo previsto di atterrare sulla spiaggia. Questa evenienza, meno rara di quanto possa sembrare, dipende dalla cattiva valutazione del gradiente del vento che, sulle spiagge, ha un'effetto ancora maggiore e, comunque, più negativo, rispetto agli atterraggi nei prati. Sulla spiaggia, infatti, il vento è in genere laterale, provenendo dal mare; ecco quindi che, per volare sulla verticale della spiaggia, dovremo tenere il naso più o meno rivolto verso il mare (a contrastare la deriva dovuta al vento stesso). È evidente che, se il vento cala (come accade avvicinandosi al suolo per il già citato gradiente), quello stesso angolo che prima ci permetteva di avanzare "sopra" la spiaggia, può risultare eccessivo, e farci finire in acqua.

Atterrare sulla spiaggia significa quindi correggere l'angolo di deriva, man mano che il gradiente fa sentire i suoi effetti (Fig. 5-31).


Figura 5-31. Il gradiente di vento sulla spiaggia deve essere compensato da un graduale cambiamento della rotta apparente.



Che fare se (nonstante tutto) si finisce in acqua Il deltaplano, per quanto leggero, resiste a galla per 3-4 minuti in acqua calma (tale tempo si riduce anche della metà se viene investito dalle onde), e poi affonda trascinando il pilota che vi è rimasto legato sotto: quindi sganciarsi immediatamente è vitale!

Se, una volta in volo, ci accorgiamo che è inevitabile (o anche solo possibile) un atterraggio in acqua ripassiamo mentalmente i punti chiave per la sopravvivenza.
  • Ingresso in acqua con i piedi in verticale (come un normale atterraggio): in presenza di movimenti ondosi pronunciati si eviterà a tutti i costi la zona di bagnasciuga poichè le onde stesse, infrangendosi, possono travolgere e muovere continuamente l'aquilone impedendo le operazioni di sgancio.
  • Sgancio immediato: poniamo mente locale al tipo e posizione del moschettone che ci assicura al delta; ha una ghiera ? da quante funi o fasce devo liberarlo ? (ricordiamo la fune di sicurezza!). Mentre in acqua calma è possibile sganciarsi tenendo la vela sollevata con la testa, in presenza di onde l'operazione va eseguita in immersione: è dunque determinante saper mantenere i nervi saldi ed una calma operativa. Dopo lo sgancio ci allontaneremo dall'aquilone lateralmente ed all'indietro, facendo attenzione ai cavi laterali e posteriori. Se siamo atterrati in un punto dove si tocca, ci sganceremo immediatamente in ogni caso, la risacca potrebbe infatti trascinarci in punti più profondi.
  • Liberarsi dall'imbrago: eventualmente iniziare ad allentare la cinghia posteriore. Ricordiamo che l'imbrago non affonda immediatamente: prima deve inzupparsi, e questo richiede un paio di minuti.
Se l'acqua è relativamente profonda l'aquilone dovrà essere trattenuto in superficie (assicurandolo con una fune ad una barca): ci si potrà così occupare con tutta calma del pilota e, in seguito, recuperarlo.

Detto tutto questo è pleonastico aggiungere che, manifestazioni folcloristiche a parte, bisogna assolutamente evitare gli atterraggi in acqua, da considerare momenti ad altissimo rischio.