Capitolo 4 - CENNI DI METEOROLOGIA

LE ASCENDENZE

Da quanto detto nel capitolo di aerodinamica risulta chiaro che un veleggiatore può volare soltanto seguendo una traiettoria discendente, traendo, proprio dalla perdita di quota, la sua spinta.
D'altro canto sappiamo tutti che è possibile guadagnare quota rispetto al decollo, e veleggiare, anche per ore, salendo e scendendo in continuazione senza mai atterrare.

Le due nozioni non si contraddicono: il veleggiatore, infatti, non fa altro che planare, ma lo fa in una massa d'aria che sale di più di quanto lui scenda, l'effetto netto è che il veleggiatore guadagna quota rispetto al terreno.

È dunque più che evidente l'interesse dei Vololiberisti per le correnti ascendenti, unico vero motore a nostra disposizione durante il volo.

Ebbene, diciamo subito che una massa d'aria sale solo e soltanto per due ragioni:
  1. quando, per diversi motivi, è più calda rispetto all'aria circostante; questo primo meccanismo, che comprende la salita delle bolle (appena vista) ed anche i fenomeni di brezza (che vedremo fra breve), è detto di ascendenza termica (dovuta cioè a differenze termiche);
  2. quando non può proprio farne a meno perchè, spinta dal vento, deve superare degli ostacoli larghi ed alti: questo meccanismo è detto di ascendenza dinamica.
Esaminiamo ora i concetti di base intorno ai quali ruotano i meccanismi che generano le ascendenze, riservandoci di analizzarle in maggior dettaglio nel capitolo dedicato al veleggiamento.

ASCENDENZE TERMICHE

Abbiamo visto prima le ragioni che inducono una massa d'aria più calda a salire e abbiamo anche imparato a predire, in base alle condizioni di equilibrio dell'aria, quanto salirà (tanto se l'aria è instabile, poco o nulla se è stabile).

Forti di queste nozioni, teoriche ma indispensabili, caliamoci ora maggiormente nella realtà, cercando di capire come accade, nella pratica, che si formino le termiche e come sia possibile sfruttarne l'energia nel Volo Libero.

STRATO LIMITE TERMICO


Figura 4-12. Strato limite termico e punti di innesco.

Iniziamo col dire che, quando il suolo in una determinata zona è omogeneo, l'aria al di sopra di esso può scaldarsi anche notevolmente senza che si inneschi alcun moto verticale: si forma una specie di "lago di aria calda", immobile, che prende il nome di strato limite termico; questo giace pigramente, sino a che qualcosa non interviene per metterlo in movimento. In assenza di vento, se qualcosa turba il suo stato (come il passaggio di un trattore su un campo arato) si distaccano soltanto alcune "bolle" isolate (Fig. 4-12).
Per questo motivo, nelle giornate di grande calma (bonaccia), non si hanno movimenti convettivi interessanti nemmeno se il sole scalda molto intensamente: in assenza di vento è necessario che la differenza di temperatura tra una massa d'aria e l'aria circostante superi i 3 gradi (per la precisione 3,416 gradi- gradiente isosterico) perchè si abbia un movimento convettivo spontaneo.

PUNTI DI INNESCO

Immaginiamo invece che un vento benefico spinga lo strato limite termico verso una asperità del terreno (ad esempio verso il bordo alberato della zona omogenea): l'aria dovrà sollevarsi per superare l'ostacolo ma, non appena sollevatasi di qualche metro, si troverà circondata da aria più fredda; soltanto a questo punto si innesca il movimento ascensionale vero e proprio, che ha le caratteristiche del sollevamento adiabatico studiato prima.

Non solo, ma l'aria che sale trascina con sè tutta la restante aria calda, dando origine ad una vera e propria ascendenza termica. Gli alberi del nostro esempio hanno agito da punto di innesco e sopra di loro si è generata una termica. È chiaro che, volando, cercheremo di individuare tutti i possibili punti di innesco (che vengono anche detti "trigger-point"); questi coincidono con zone di dislivello (colline, confini alberati) oppure con zone a differenti temperature (bordi di laghi o fiumi, campi arati tra prati verdi, ecc.) in modo da poter sfruttare le ascendenze che, speriamo, da questi vengono innescate.

Le montagne, quando sono investite da un leggero vento prevalente, sono in grado di "raccogliere" le bolle e le colonne termiche, che vi si adagiano contro e se ne distaccano. Ecco perchè è molto più semplice trovare e sfruttare una ascendenza termica nel volo di pendio rispetto al volo di pianura.

LE BREZZE

Il secondo tipo di ascendenza termica è generato dalle brezze, fenomeni regolari ed ampiamente prevedibili che si realizzano nelle valli ed in prossimità di grandi specchi d'acqua (laghi, mare).

Caratteristica comune di tutte le brezze è la ciclicità: esse, infatti, invertono la loro direzione 2 volte nell'arco delle 24 ore.


Figura 4-13. Brezza di valle e brezza di monte.

BREZZE DI VALLE E DI MONTE

Nel nostro emisfero i pendii montani esposti a sud ricevono più sole (o meglio lo ricevono in modo più diretto) rispetto alla pianura (e ancora di più rispetto ai pendii esposti a nord). Questo dipende dal fatto che i raggi solari, inclinati da sud a nord, colpiscono tali pendii in modo perpendicolare o quasi. L'aria che è "appoggiata" sui pendii tenderà dunque a scaldarsi anch'essa (per conduzione) e, essendo più calda di quella ad essa circostante, risale il pendio. Nuova aria fredda discende allora in mezzo alla valle per rimpiazzare questa che è risalita, formando un sistema di circolazione che si mantiene fino a sera.

Si noti che anche sui pendii soleggiati si forma uno strato limite termico: infatti l'aria che risale, continuando ad appoggiare sul pendio, continua ad scaldarsi, alimentando la brezza. Quando lo strato limite termico raggiunge la cima, se ne distacca (e, se si tratta di una giornata in equilibrio instabile, dà luogo ad una termica): le cime delle montagne agiscono dunque anch'esse come punti di innesco.

Di sera invece accade il contrario; i pendii si raffreddano prima della vallata: le montagne, che sporgono nell'atmosfera come enormi radiatori, dissipano calore per irraggiamento nell'aria circostante, più fredda.
In queste condizioni l'aria in centro valle, più calda, tende a salire, richiamando aria più fredda giù dai pendii e la brezza inverte il proprio senso di marcia.




Figura 4-14. Brezza di mare e brezza di terra.

BREZZE DI MARE (O DI LAGO)

Sul confine tra terra e mare si verifica qualcosa di simile a ciò che accade nelle valli; di giorno la terra si scalda di più rispetto all'acqua (come sa chi cammina in agosto sulla sabbia rovente di una spiaggia); l'aria che è a contatto con il suolo diviene rapidamente più calda rispetto all'aria che giace sul mare.
Si innesca quindi un ampio movimento nel quale l'aria sulla terra sale, richiamando aria dal mare.
Di sera accade il contrario: l'acqua, che durante il giorno ha accolto il calore del sole anche in profondità, agisce da "serbatoio di calore" ed è più calda della terra (come sa chi ha fatto un bagno serale o notturno); sarà ora l'aria sovrastante il mare a salire, richiamando aria più fredda dalla terra.

LE ASCENDENZE DINAMICHE


Figura 4-15. Un picco isolato non crea ascendenza dinamica, un largo costone invece si

Il secondo importante movimento ascendente delle masse d'aria è quello che si forma, a prescindere dalla temperatura, quando un vento sufficientemente sostenuto (25-30 Km/h) investe un pendio.

Esso si comporta, in questo caso, in modo molto simile a ciò che farebbe l'acqua di un fiume spinta contro un sasso (Fig. 4-15): se può (cioè se l'ostacolo è sufficientemente stretto) lo aggira (senza creare ascendenze di rilievo), ma se l'ostacolo è sufficientemente largo essa è costretta a risalirlo (in apparente contrasto con la forza di gravità) fino a cadere dall'altra parte.

Ogni volta che una montagna è investita dal vento, sarà quindi possibile distinguere:
  • la zona sopravvento, caratterizzata da ascendenze larghe e regolari nelle quali, se il vento non eccede le possibilità del nostro mezzo, sarà possibile veleggiare con grandi soddisfazioni;
  • la zona sottovento, sempre interessata da fenomeni molto turbolenti di ricaduta, che sarà assolutamente imperativo evitare!

Figura 4-16. USe la montagna non ha un profilo "alare", in presenza di vento si formano rotori (R), sia a valle che a monte della zona di ascendenza.

La figura 4-16 illustra l'andamento dell'aria che incontra ostacoli di diverso profilo. Si noti che, come è logico attendersi, un profilo montano perfettamente aerodinamico (a forma di ala) non dà luogo a turbolenze: purtroppo non ne esistono molti.
La banda di ascendenza (tratteggiata) e la linea di maggiore ascendenza (freccia) sono differenti a seconda che si tratti di un pendio o di un dirupo: si nota che nel pendio la zona di ascendenza si estende maggiormente verso il basso e la linea di maggior ascendenza si trova spostata verso valle; nel dirupo invece, a parità di vento, la zona di ascendenza ha maggiore estensione verticale e la linea di massima ascendenza è quasi sulla verticale della cresta.
Inoltre il dirupo dà origine a turbolenze più grosse e più potenti del pendio (come regola generale si ricordi che gli spigoli "vivi" danno luogo a rotori maggiori rispetto ai bordi arrotondati).

ROTORI

Con il termine rotore si indica un movimento rotatorio e vorticoso dell'aria lungo un asse orizzontale. Nelle figure precedenti se ne possono individuare alcuni.

I rotori si formano ogni volta che una massa d'aria incontra un oggetto, e se ne riconoscono due tipi (Fig. 4-17):
  • i rotori di sottovento, più ampi e potenti, che si formano dietro all'ostacolo;
  • i rotori di sopravvento, più piccoli, che si formano davanti all'ostacolo.
I rotori più grossi in assoluto sono quelli che si generano sottovento a grandi montagne investite da vento forte; si dovrà ricordare che tali masse rotanti possono staccarsi dalla montagna e ritrovarsi in pianura anche a molti chilometri di distanza (fino a 50!).

Tuttavia anche con venti che risultano "volabili" con ali veloci (fino a 40 km/h) i rotori che si formano sottovento sono di tutto rispetto, ed ampiamente in grado di spezzare un deltaplano e di "aggrovigliare" un parapendio. Vale poi la pena di sottolineare che, in una giornata soleggiata, la parte ascendente del rotore può fondersi con una termica di sottovento, cioè con un movimento termoconvettivo dell'aria che si sviluppa nella zona di relativa quiete, posta sottovento (appunto) alla montagna. La regola aurea di evitare assolutamente i versanti di sottovento durante i voli in dinamica, ci evita, comunque, la tentazione di "sfruttare" tali termiche, ambite dagli alianti, ma decisamente troppo "turbolente" per le ali leggere.

Diverso è il discorso per i piccoli rotori di sopravvento: questi si trovano proprio dalla parte del monte che noi usiamo per il volo e non è raro incapparci. Anche se sono molto più piccoli e meno "cattivi", possono causare difficoltà anche notevoli se ci colgono vicino al pendio (quando le nostre capacità di recupero sono minime).

In genere i rotori di sopravvento sono tanto più preoccupanti:
  • quanto maggiore è la velocità del vento;
  • quanto più brusche sono le variazioni di pendenza del suolo;
  • in presenza di grossi spunzoni di roccia dalla forma irregolare.
Un ultimo tipo di rotore che è utile conoscere ed evitare (nei limiti del possibile) è quello generato da piccoli ostacoli (case, alberi); possiamo incontrare questi rotori soltanto nei due momenti più delicati del volo, decollo ed atterraggio, e dunque, per quanto modesti, meritano la nostra massima attenzione.


Figura 4-17. I rotori che si formano sottovento ad una montagna possono staccarsi da essa e ritrovarsi anche a diversi chilometri di distanza (rotori migratori); sono da evitare anche i piccoli rotori di sopravvento, tanto più forti quanto più angolato è il "raccordo" tra montagna e pianura.